Una bocca e due orecchie

Ascoltare non è prestare l’orecchio, è farsi condurre dalla parola dell’altro là dove la parola conduce. Umberto Galimberti 

Abbiamo una bocca e due orecchie. Questa è una constatazione ovvia, oseremmo dire banale. Ma possiamo interpretarla come l’indicazione di quanto sia più importante ascoltare piuttosto che parlare. Lee Bryant, attento osservatore della transizione digitale e impegnato nel contribuire a disegnare la struttura d’impresa del XXI secolo, evidenzia come le aziende abbiano bisogno di fare proprio un concetto: quello di “Human Sensor”. 
I sensori umani sono coloro che all’interno di una organizzazione hanno la responsabilità di raccogliere feedback qualitativi, più che quantitativi, sulla qualità dei processi operativi, sui potenziali problemi emergenti, sull’entusiasmo che i team e le persone hanno per le sfide comuni dell’organizzazione. Quindi, dei capaci ascoltatori. 

Provate a ricordare quante volte in una qualunque giornata di lavoro avete ascoltato in modo attivo colleghi, capi o collaboratori: i più onesti intellettualmente rifletteranno sul fatto che spesso non ci si sofferma molto sull’ascolto, elemento vitale per alimentare ottime relazioni con le persone, sia sul lavoro, sia nella vita privata. Sentire non è lo stesso che ascoltare. Sfortunatamente ogni giorno ci muoviamo in una società che, per sua stessa natura, rende sempre più difficile la possibilità di ascoltare a causa di stress, aggressività, rumore e frenesia. In ambito professionale le cause più comuni che inibiscono la capacità di ascolto riguardano spesso lo scarso tempo a disposizione; la mancanza di un’opinione chiara e univoca del nostro interlocutore; la forte concentrazione sugli obiettivi che cerchiamo di raggiungere o più semplicemente perché la persona che abbiamo di fronte, magari solo per il ruolo che ricopre, non ci è gradita. 

Ascoltare attivamente, al lavoro e non solo, non significa semplicemente sentire le parole del nostro interlocutore: dovremo aggiungere le informazioni che sapremo ricevere anche attraverso la vista, per cogliere tutti i segnali di congruenza o incongruenza del messaggio; dato che più del 50% della comunicazione espressa deriva dal linguaggio del corpo di un individuo, allora converrà ascoltare anche con gli occhi, proprio perché spesso i nostri gesti e le nostre espressioni del viso confermano o contraddicono quello che esprimiamo attraverso le parole. Peter Drucker, uno dei più grandi economisti del ‘900, sosteneva che la cosa più importante nella comunicazione è ascoltare ciò che non viene detto. La sociologa Marianella Sclavi nel suo libro “Arte di ascoltare e mondi possibili” propone sette regole dell’arte di ascoltare. 

1. Non avere fretta di arrivare a delle conclusioni. Le conclusioni sono la parte più effimera della ricerca. 
 
2. Quel che vedi dipende dal tuo punto di vista. Per riuscire a vedere il tuo punto di vista, devi cambiare punto di vista. 
 
3. Se vuoi comprendere quello che un altro sta dicendo, devi assumere che ha ragione e chiedergli di aiutarti a vedere le cose e gli eventi dalla sua prospettiva. 
 
4. Le emozioni sono degli strumenti conoscitivi fondamentali se sai comprendere il loro linguaggio. Non ti informano su cosa vedi, ma su come guardi. Il loro codice è relazionale e analogico. 
 
5. Un buon ascoltatore è un esploratore di mondi possibili. I segnali più importanti per lui sono quelli che si presentano alla coscienza come al tempo stesso trascurabili e fastidiosi, marginali e irritanti, perché incongruenti con le proprie certezze. 
 
6. Un buon ascoltatore accoglie volentieri i paradossi del pensiero e della comunicazione. Affronta i dissensi come occasioni per esercitarsi in un campo che lo appassiona: la gestione creativa dei conflitti. 
 
7. Per divenire esperto nell’arte di ascoltare devi adottare una metodologia umoristica. Ma quando hai imparato ad ascoltare, l’umorismo viene da sé. 

Dobbiamo alla collega Tatiana Coviello, HR Director di Volksbank, l’averci ricordato l’esistenza di un piccolo ma profondo e prezioso libro “L’arte di tacere” dell’Abate Dinouart scritto nel lontano 1771. Ecco i suoi principi: 

 
1 – È bene parlare solo quando si deve dire qualcosa che valga più del silenzio. 
2 – Esiste un momento per tacere, così come esiste un momento per parlare. 
3 – Nell’ordine, il momento di tacere deve venire sempre prima: solo quando si sarà imparato a mantenere il silenzio, si potrà imparare a parlare rettamente. 
4 – Tacere quando si è obbligati a parlare è segno di debolezza e imprudenza, ma parlare quando si dovrebbe tacere, è segno di leggerezza e scarsa discrezione. 
5 – In generale è sicuramente meno rischioso tacere che parlare. 
6 – Mai l’uomo è padrone di sé come quando tace: quando parla sembra, per così dire, effondersi e dissolversi nel discorso, così che sembra appartenere meno a se stesso che agli altri. 
7 – Quando si deve dire una cosa importante, bisogna stare particolarmente attenti: è buona precauzione dirla prima a se stessi, e poi ancora ripetersela, per non doversi pentire quando non si potrà più impedire che si propaghi. 
8 – Quando si deve tenere un segreto non si tace mai troppo: in questi casi l’ultima cosa da temere è saper conservare il silenzio. 
9 – Il riserbo necessario per saper mantenere il silenzio nelle situazioni consuete della vita, non è virtù minore dell’abilità e della cura richieste per parlare bene; e non si acquisisce maggior merito spiegando ciò che si fa piuttosto che tacendo ciò che si ignora. Talvolta il silenzio del saggio vale più del ragionamento del filosofo: è una lezione per gli impertinenti e una punizione per i colpevoli. 
10 – Il silenzio può talvolta far le veci della saggezza per il povero di spirito, e della sapienza per l’ignorante. 
11 – Si è naturalmente portati a pensare che chi parla poco non è un genio, e chi parla troppo, è uno stolto o un pazzo: allora è meglio lasciar credere di non essere geni di prim’ordine rimanendo spesso in silenzio, che passare per pazzi, travolti dalla voglia di parlare. 
12 – È proprio dell’uomo coraggioso parlare poco e compiere grandi imprese; è proprio dell’uomo di buon senso parlare poco e dire sempre cose ragionevoli. 
13 – Qualunque sia la disposizione che si può avere al silenzio, è bene essere sempre molto prudenti, desiderare fortemente di dire una cosa, è spesso motivo sufficiente per decidere di tacerla. 
14 – Il silenzio è necessario in molte occasioni; la sincerità lo è sempre; si può qualche volta tacere un pensiero, mai lo si deve camuffare. Vi è un modo di restare in silenzio senza chiudere il proprio cuore, di essere discreti senza apparire tristi e taciturni, di non rivelare certe verità senza mascherarle con le menzogne. 

Tacere e ascoltare è prima di tutto un grande atto di umiltà. I leader se vogliono guidare con saggezza ed efficacia le loro organizzazioni devono ricordare che l’umiltà è una scelta incredibilmente potente. “Con orgoglio viene la vergogna, ma con umiltà arriva la saggezza” (Proverbi 11: 2). L’indagine scientifica sul potere e l’efficacia dell’umiltà ha dimostrato che offre ai leader un “vantaggio competitivo” significativo. I leader umili mostrano una vulnerabilità che li rende più accessibili. Tali leader non puntano le dita o distolgono la colpa e sono disposti ad ascoltare opinioni diverse. Se non ascolti o non ammetti di avere torto, non puoi crescere. Se non cresci, la tua attività non crescerà. Il successo richiede una crescita continua. 

Parafrasando un famoso detto di Cartesio “Penso dunque sono” potremmo dire “Ascolto dunque sono leader”. 

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