LA MADRE DEL MANAGEMENT MODERNO
Nel 1924 Mary Parker Follett, filosofa, politologa, scrittrice e sociologa statunitense pubblicò il libro L’esperienza creativa.
L’autrice, conosciuta per aver fondato una delle teorie delle organizzazioni sulla gestione del management, in particolare sul management consulting, fu definita la “Madre del management moderno”. Concentrò i suoi studi sul ruolo delle persone nelle organizzazioni insistendo sull’importanza del promuovere relazioni sociali positive come aspetto fondamentale di ogni business e sulla valorizzazione della diversità delle identità in quanto esse sono risorse vitali per la sopravvivenza e lo sviluppo di ogni organizzazione. Diversità che possono anche portare a situazioni di conflitto. A tale proposito, l’autrice contesta la tesi di coloro che considerano la conflittualità elemento di disgregazione sociale; il conflitto è considerato dalla Follett prodotto della diversità, generatore di un processo circolare di cambiamento, capace di innovare la società, un processo che si sviluppa mediante un’integrazione dei desideri soggettivi.
Attraverso la mutua comprensione tra gli animi le differenze si conservano, si accentuano e si riconciliano in una vita più ricca, che è il vero scopo. Ognuno rimane se stesso e in questo modo l’attività collettiva viene arricchita e arricchisce a sua volta il singolo. L’attività della “creazione congiunta” è l’anima della democrazia, l’essenza della cittadinanza, la condizione per una cittadinanza mondiale.
Tutte le diversità affrontate con saggezza possono condurre a “qualcosa di nuovo”, ma se ci si sottomette agli altri, o si fa un compromesso, non si ha nessun progresso. Ognuno deve insistere fino a che non si trova un modo grazie al quale nessuno ha la peggio, ma tutti possono contribuire alla soluzione. La differenza è sempre una sfida. Non dovremmo mai evitarla. Le uniche cose che dovremmo condannare sono la confusione e l’ipocrisia. L’interazione dei desideri, non il predominio dei desideri del più forte, dovrebbe costituire il processo sociale; la funzione della legge o delle regole dovrebbe consistere nell’aiutare a trovare quei metodi grazie ai quali i desideri possano interagire sempre più proficuamente.
Al contrario, l’appiattimento sulla dottrina del consenso, secondo l’autrice, contiene in sé i germi di un autoritarismo politico e sociale fondato sul “controllo su” e sul “potere su” piuttosto che sul “potere con” e sul “controllo con”.
Un altro aspetto rilevante messo in luce dalla Follett è il fatto che l’azienda non sia unicamente un sistema economico-produttivo, una macchina composta da pezzi umani e tecnici intercambiabili, bensì un sistema dove sono presenti emozioni, atteggiamenti, motivazioni e bisogni non unicamente economici: un sistema sociale, perché l’azienda è un’agenzia sociale il cui scopo non è solo produrre oggetti utili, ma fornire un servizio pubblico. Il reale servizio è l’offerta di un’opportunità di sviluppo individuale dei propri membri, grazie a una migliore organizzazione delle relazioni umane tese a garantire l’integrità e la crescita individuale nelle relazioni organizzate. Un sistema, inoltre, in rapporto costante con l’ambiente esterno attraverso un processo interattivo circolare che determina un’influenza reciproca: sia l’azienda che l’ambiente non sono due sistemi statici, ma in continua interazione e in continuo cambiamento.
In un contesto di tal guisa, sono necessarie persone geniali per risolvere i problemi dell’organizzazione, persone capaci di adottare novità inventive nelle organizzazioni funzionali e sperimentali in altri tipi di organizzazioni non gerarchiche ma con un’autorità ramificata. Persone che siano davvero osservatori-partecipanti, che tentino un esperimento dopo l’altro e ne annotino i risultati, che facciano esperimenti per rendere produttiva l’intenzione umana nell’ambito dell’economia di impresa. Se mi trovo a sperimentare una certa idea, è perché l’andamento della mia azienda ha fatto emergere la necessità di fare qualcosa. Non c’è sperimentazione arbitraria, si potrebbe quasi dire che non c’è sperimentazione astratta.
Spesso, invece, si tende a forzare la gente piuttosto che a educarla a sviluppare un atteggiamento mentale scientifico in modo che ognuno basi la propria vita su esperienze dirette, le proprie più quelle degli altri, piuttosto che su nozioni preconcette: bisogna imparare a integrare esperienza con altra esperienza. L’esperienza progressiva dipende dalla relazione. L’appassionata ricerca dell’oggettività, compito primario dei fanatici dei fatti, non può essere l’intero scopo della vita, poiché l’oggettività da sola non è la realtà. La realtà sta nella relazione. Dobbiamo pensare alla realtà come a un sistema comprensivo di fattori in relazione.
La mia attività che cambia è una risposta a un’altra attività che cambia anch’essa; e i cambiamenti nella mia attività sono in parte causati dai cambiamenti che accadono nell’attività con la quale sono in relazione e viceversa. La mia reazione non è a un prodotto cristallizzato del passato, statico al momento dell’incontro.
Mentre io agisco, l’ambiente si modifica a causa del mio comportamento e il mio comportamento è una risposta alla nuova situazione che io, in parte, ho creato.
Dobbiamo essere consapevoli che quando una situazione cambia non abbiamo una variante nuova del fatto vecchio, ma un fatto nuovo. La relazione implica un incremento che può essere misurato solo da un interesse composto. L’interesse semplice non esiste nella vita organica così come in quella organizzativa: il relazionarsi delle cose rende variabile il relazionarsi. L’interagire che cambia entrambi i fattori e che crea costantemente nuove situazioni dovrebbe essere la materia di studio degli studiosi di scienze sociali. Nelle situazioni sociali (e una organizzazione è una situazione sociale) rispondiamo a un accadimento che la nostra risposta modifica tenendo presente che quell’accadimento, nello stesso tempo, cambia la nostra risposta. Le organizzazioni industriali e politiche prenderanno forme diverse quando capiremo che la cooperazione non è un’addizione, ma un’interrelazione progressiva. Il riflesso circolare è una legge che opera non solo a livello infra-personale, nel funzionamento dell’apparato neuro-muscolare, ma anche a livello individuale e sociale.
L’autrice, a questo punto, si chiede se esista un modo per impedire ai dirigenti, che sono innanzitutto una rappresentanza di gestione dell’intero corpo, di lavorare per interessi propri perdendo di vista l’insieme delle persone che li hanno nominati? Ed evidenzia come: il corpo centrale acquisti a volte un interesse proprio che diverge dalla relazione funzionale. Il problema è come tenere unite l’organizzazione e la funzione, come mantenete intatta l’azione tra il corpo centrale e il resto dei partecipanti. Le nostre radici affondano in quel grande ignoto nel quale vi sono le infinite potenzialità latenti nell’umanità. Queste potenzialità sono evocate, chiamate alla luce, convocate in giudizio dall’azione e reazione tra individui.
Quando integriamo, non rimane niente da incasellare. I nostri giudici più validi non sono coloro che classificano, ma coloro che integrano. Proprio questa è la differenza tra l’intelligenza meccanica e l’intelligenza creativa. Coloro che interpretano meccanicamente sono robot. Ciò di cui l’uomo è peculiarmente capace è l’attività creativa.
Era il 1924!