Le quattro età della sostenibilità
In questi anni, la triplice crisi ambientale, sociale ed economica ha catalizzato un sempre maggiore impegno verso modelli di crescita coerenti con la necessità di un nuovo schema di sviluppo.
Risulta pertanto chiaro quanto sia importante che anche il mondo economico e produttivo faccia la propria parte per contribuire al raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile e colmare la distanza che tuttora ci separa da esso. Il ruolo fondamentale delle imprese, di qualunque dimensione e natura, veniva sottolineato già alla pubblicazione dell’Agenda 2030:
L’attività imprenditoriale privata, gli investimenti e l’innovazione rappresentano i motori principali della produttività, di una crescita economica inclusiva e della creazione di posti di lavoro. Riconosciamo la varietà del settore privato, che varia dalle microimprese alle cooperative, e alle multinazionali. Invitiamo tutte le imprese ad impiegare la loro creatività e la loro innovazione, al fine di trovare una soluzione alle sfide dello sviluppo sostenibile. Promuoveremo un settore imprenditoriale dinamico e ben funzionante, salvaguardando contestualmente i diritti dei lavoratori e le norme ambientali e sanitarie, in conformità con le norme e gli accordi internazionali e le altre iniziative in corso applicabili in materia.
La stessa Agenda 2030 ha lasciato ampio spazio al ruolo delle imprese, individuando diversi ambiti di azione (come l’accesso all’energia, le infrastrutture, le città smart, l’economia circolare…) in cui è assolutamente cruciale il ruolo del settore privato, chiamato, anche dalle opportunità competitive, ad agire a favore della sostenibilità partendo dal proprio core business. La “transizione sostenibile” rappresenta infatti un’opportunità anche per le aziende stesse, affermandosi con sempre maggiore forza quale paradigma di analisi, innovazione e azione per guidare le imprese nel trasformare i rischi in opportunità, definendo scenari favorevoli anche sul piano economico in un orizzonte di lungo periodo. È chiara, dunque, l’urgenza di un nuovo modello di fare impresa, in cui la risposta alle sfide del mondo esterno e la creazione di valore sociale diventano tendenze fondamentali, come necessità di reazione a pressioni esterne incontrollabili, e non più come atto di “buona volontà” legato alle decisioni aziendali.
Ciò non vuol dire mettere in discussione che la priorità di un’azienda sia garantire la redditività del business nel lungo termine, ma la sostenibilità aziendale diventa sinonimo della capacità di resistere nel tempo, di adattarsi ai cambiamenti di scenario, anzi, di anticiparli e sfruttarli al meglio per massimizzare i risultati. Ciò significa che non deve essere qualcosa che si aggiunge alle attività ordinarie, ma che ne diventa parte integrante, una premessa ineludibile nella determinazione delle strategie imprenditoriali. Solo così, le aziende potranno modellare la propria strategia e operatività per affrontare il cambiamento, rispondendo alle aspettative e ai bisogni di tutti gli stakeholder, accrescendo, al contempo, la competitività e preservando la redditività.
Le imprese di solito passano attraverso diversi gradi di maturità durante il loro cammino di crescita verso l’integrazione della sostenibilità nel loro core business, che possiamo esemplificare in quattro diverse “età”1:
Sostenibilità 0.0
Può essere considerata come la “gestazione” di un’azienda che ancora non ha effettuato il proprio passaggio di trasformazione verso modelli sostenibili, cullandosi nella comodità del proprio business-as-usual. “The business of business is business”: questo potrebbe essere il paradigma di chi vive ancora in questa condizione, facendosi forte della tradizionale (ormai superata) concezione dell’economia, teorizzata da Milton Friedman secondo cui l’esclusivo compito delle imprese è quello di generare profitto e l’unica responsabilità è verso azionisti e proprietari. La sostenibilità non ha ancora trovato spazio in questa concezione di business: qualunque argomentazione di tipo sociale o ambientale è considerata come una distrazione dall’unica missione aziendale, la creazione di profitto.
Sostenibilità 1.0
In questa prima fase di “business sustainability”, che possiamo vedere come una sorta di “infanzia”, le imprese iniziano a rispondere alle preoccupazioni ambientali e sociali. Gli argomenti economici comunque restano la priorità aziendale e le azioni sostenibili, spesso effettuate anche in modo inconsapevole, hanno essenzialmente lo scopo di ridurre i costi attraverso l’efficientamento, di gestire i rischi, migliorare l’attrattività come employer e differenziarsi dai concorrenti. Tipiche azioni sono ad esempio ridurre i rifiuti, l’uso di acqua o di energia migliorando i processi, oppure identificare i rischi connessi all’uso delle sostanze chimiche, ai diritti del lavoro e agli impatti climatici.
Sostenibilità 2.0
Nella seconda fase di gestione della sostenibilità, siamo in una sorta di “giovinezza consapevole”: la azienda comincia a ripensare il proprio scopo, inizialmente rivolto solo al profitto economico, e a seguire un criterio “triple-bottom line” (economia, ambiente, persone): l’approccio di creazione del valore va ora oltre l’interesse dei soli shareholder. Il business non considera più solo istanze economiche, ma anche ambientali e sociali. Per raggiungere questi obiettivi, l’azienda implementa delle strategie e dei piani di sostenibilità, utilizzando sistemi di gestione e un reporting appropriato. L’azienda incorpora la “triple-bottom line” nella sua struttura e definisce di conseguenza responsabilità e programmi, integrando la sostenibilità come attivatore della strategia aziendale e usandola per ispirare nuovi prodotti o servizi e miglioramenti delle prestazioni. Tipiche attività di questa fase sono, ad esempio: progettare una linea di prodotti ecologica; collaborare con i fornitori per rendere la supply chain più sostenibile; sviluppare un piano di sostenibilità a lungo termine; redigere un rapporto di sostenibilità.
Questi primi tre approcci alla sostenibilità sono definiti inside-out, ossia sono rivolti essenzialmente ad evitare gli impatti negativi generati dalle attività aziendali.
Sostenibilità 3.0
Ed infine arriviamo alla vera “maturità”: è l’ultimo, il più evoluto approccio alla sostenibilità: questo è definito outside-in, in quanto tende a generare impatti positivi, mediante un contributo attivo ai problemi globali, guardando alle sfide presenti esternamente ai perimetri aziendali e cercando di affrontarle utilizzando le proprie risorse. In questa fase, si collegano direttamente gli obiettivi di un’azienda alle sfide sostenibili mondiali: in questo modo si può parlare di vera sostenibilità del business.
In questa fase, il modello di business viene messo in discussione, definendo il contributo che si vuole dare per risolvere alcune problematiche generali e reinvestendo nel capitale sociale ed ambientale, non soltanto economico. Le attività tipiche di questa fase di integrazione della sostenibilità sono: individuare gravi problemi locali e/o globali che potrebbero essere affrontati dalle proprie competenze chiave; immaginare e ripensare il proprio business a lungo termine; sviluppare una strategia di transizione.
Le sfide che la società sta affrontando sono molteplici e spaziano su molti campi: nutrizione, energia, mobilità, salute, agricoltura, solo per citarne alcune. Un approccio alla sostenibilità guidato dalla volontà di fornire soluzioni a tali sfide crea nuovi modelli di business e nuove forme di collaborazione all’interno delle supply chain e tra industrie, tra pubblico, privato e organizzazioni non governative, trasformando le regole del gioco. Il business case per lo sviluppo sostenibile è già forte: apre a nuove opportunità e a grandi guadagni di efficienza; guida l’innovazione; migliora la reputazione. Con una reputazione di sostenibilità, le aziende attraggono e trattengono dipendenti, consumatori, clienti, investitori e si assicurano la licenza per operare. Questo è il motivo per cui le aziende sostenibili in tutto il mondo prosperano e offrono rendimenti interessanti. Una ricerca della Business Sustainable Business Council2 mostra che la risposta a questioni globali di sostenibilità nei quattro macro-sistemi economici (cibo e agricoltura, città, energia e materiali, salute e benessere) potrebbe aprire 60 hot spots di mercato, per un valore stimato di 12 miliardi di USD entro il 2030, tra risparmi ed entrate aziendali.
In un contesto regolatorio già solido e in via di ulteriore rafforzamento, soprattutto nel panorama europeo, grazie al EU Green Deal e ai suoi strumenti operativi, è giunto davvero il momento per le imprese di intraprendere il loro percorso di crescita e di cambiamento verso un modello di business sostenibile, trasformando i rischi in opportunità e mettendo le proprie risorse, mezzi, competenze e know-how al servizio di una transizione equa, giusta, rigenerativa, per un futuro migliore. Il business non può avere successo in società che falliscono: investire nello sviluppo sostenibile vuol dire sostenere i pilastri del proprio successo aziendale.