Leader sempre più inefficaci
Partiamo da alcuni dati.
Secondo lo State of the Global Workplace indagine realizzata dalla società Gallup, solo il 15% dei dipendenti è ingaggiato rispetto al proprio lavoro. Ciò significa che la maggior parte della forza lavoro in tutto il mondo vede il proprio posto di lavoro in modo negativo, con un attaccamento emotivo minimo o nullo. Lo studio rivela anche notevoli differenze geografiche: il 33% dei dipendenti statunitensi è ingaggiato, quasi due volte di più rispetto alla media globale. In Europa occidentale, invece, solo il 10 per cento dei dipendenti lo è. La situazione sembra particolarmente allarmante nel Regno Unito, dove il numero di dipendenti coinvolti è dell’8% e il numero è in costante calo negli ultimi anni.
Un altro dato da considerare è relativo al fatto che il 73% dei dipendenti sta pensando di lasciare il proprio posto per l’offerta giusta, anche se al momento non starebbe cercando una nuova collocazione. Il desiderio di cambiare lavoro non è sostenuto dalla ricerca di una remunerazione economica migliore, poiché il 74% dei dipendenti più giovani accetterebbe una riduzione dello stipendio per avere la possibilità di lavorare nell’azienda ideale e il 23% di coloro che cercano un lavoro non avrebbe bisogno di un aumento di stipendio per accettare una nuova posizione.
Se gettiamo uno sguardo verso i politici, la musica non cambia. Prendiamo il caso italiano. Cala il gradimento di tutti i leader politici, Sono i risultati essenziali del sondaggio condotto da Demos & Pi per Repubblica tra il 31 gennaio e il 1° febbraio 2022. Anche se usciamo dai nostri confini, il discorso non cambia. Dal 2018, attraverso il Global Trustworthiness Index, Ipsos rileva il livello di fiducia riposto dalle persone verso diverse categorie professionali. A livello internazionale, soltanto il 10% degli intervistati ripone fiducia nei politici. In Italia, il 9% dei cittadini ritiene i politici affidabili e il 15% ritiene affidabili i ministri del Governo.
Eppure, gli investimenti fatti in programmi formativi sulla leadership sono stati e continuano ad essere notevoli. Secondo i dati del Chief Learning Officer Business Intelligence Board, quasi il 95% delle organizzazioni prevede di aumentare o mantenere il proprio investimento attuale nello sviluppo della leadership. Nel frattempo, TrainingIndustry.com afferma che la formazione alla leadership è un’industria globale da 366 miliardi di dollari. Le organizzazioni in forte crescita si concentrano sul miglioramento del proprio talento e ciò significa programmi potenziati per i leader emergenti. Nonostante ciò, i dati forniti da McKinsey offrono una visione sorprendente del settore della leadership: la maggior parte di questi programmi di leadership non riesce a creare i risultati desiderati. Cosa sta tenendo la leadership di qualità fuori dalle organizzazioni, nonostante le migliori intenzioni del management (e dei consulenti di gestione) di invertire la tendenza? Secondo un recente sondaggio su 28.000 leader aziendali, condotto sotto la guida della rivista Chief Learning Officer, lo sviluppo della leadership è uno sforzo di alto livello che si concentra sulle competenze trasversali (al contrario della formazione per la certificazione o dell’istruzione basata sulle competenze). Il 74% delle organizzazioni utilizza la formazione sulla leadership con un formatore specializzato e il 63% utilizza l’executive coaching per fornire abilità di leadership di prim’ordine.
Sicuramente esistono persone competenti, esperte, adatte a guidare governi, imprese e istituzioni. Perché costoro siedono in panchina, mentre tanti mediocri sono sulla plancia di comando?
A questo punto la domanda è lecita. Che cosa sta andando storto?
La colpa, spiega Tomas Chamorro-Premuzic, professore di Business Psychology all’University College di Londra e alla Columbia University è tutta da imputare all’inadeguatezza dei processi di selezione. Quando gli uomini vengono selezionati per occupare posizione di vertice – spiega l’esperto di talent management – gli stessi aspetti che consentirebbero di predire il loro fallimento sono comunemente scambiati per indicatori di potenziale o di talento per la leadership e, come tali, persino esaltati. Caratteristiche come l’eccessiva fiducia in sé stessi e il narcisismo dovrebbero essere interpretate come segnali di pericolo. Invece, ci spingono a dire: “Ah, che tipo carismatico! Ha la stoffa del leader”. Insomma, i nostri sistemi di selezione esaltano le caratteristiche del maschio alfa e cioè il protagonismo rispetto all’umiltà, l’estroversione rispetto alla sobrietà, la voce grossa rispetto all’understatement, l’azzardo rispetto alla saggezza. Il problema? Queste caratteristiche, se sono utili a imporsi come leader, sono del tutto inadatte per guidare un paese, un’impresa o una comunità di persone.
Barbara Kellerman è una professoressa americana di leadership, attualmente presso la John F. Kennedy School of Government dell’Università di Harvard. In precedenza, è stata professoressa presso le università Fordham, Tufts, Fairleigh Dickinson, George Washington e Uppsala e il Dartmouth College. È stata una delle fondatrici dell’International Leadership Association. La Kellerman è stata classificata da Forbes.com tra i “Top 50 Business Thinkers” 2009 e classificata da Leadership Excellence come tra i primi 15 “Best Minds on Leadership” 2008-2009. Nel suo libro The End of Leadership scrive.
Ho dedicato la mia vita alla leadership. Insegno da oltre 30 anni e ho scritto dodici libri su questo tema. Faccio parte di numerosi centri di ricerca, associazioni e istituti sulla leadership. Perché quindi scrivere un libro come questo? Perché mettermi contro tanti miei colleghi che, come me, hanno dedicato la loro vita alla leadership? La ragione è che mi sento sempre più in difficoltà a parlare di leadership nel XXI secolo. Mentre l’industria che gira intorno alla leadership sta prosperando al di là di ogni immaginazione, i leader si dimostrano progressivamente più inefficaci.
Chamorro-Premuzic evidenzia a più riprese nel suo libro che «c’è un’enorme differenza tra i tratti della personalità e i comportamenti che occorrono per essere scelti come leader (sicurezza di sé, narcisismo, carisma) e i tratti e le competenze che occorrono per essere capaci di dirigere (competenza e onestà). Ne deriva che se vogliamo far emergere dei buoni leader, cioè dei leader esperti, emotivamente stabili, consapevoli dei propri limiti e dotati di una buona dose di umiltà ed empatia, dobbiamo profondamente ripensare gli attuali modelli di leadership e i criteri di selezione, poiché sono proprio quest’ultimi, per come sono oggi strutturati, a escludere, in modo del tutto distorto, tutti coloro (in particolare le donne) che invece avrebbero le caratteristiche adatte per essere un buon leader.
Questa impresa potrà avere successo? Qualche dubbio è lecito nutrirlo. Spesso infatti i leader, più sono mediocri e incompetenti, più tendono a circondarsi, quando sono al potere, di persone mediocri e incompetenti; tendono, cioè, a creare un ambiente tossico, in cui la mediocrità si autoperpetua proprio come fanno i batteri e i parassiti negli ambienti inquinati e contaminati.